SINODO PARALLELO

Pure un cardinale alla messa pagana condannata da GPII

A Santa Maria in Transpontina, sabato, presente il neo cardinale Czerny, è andata in scena la cosiddetta “messa per la Terra senza mali”, nata nel solco della Teologia della Liberazione e già condannata da San Giovanni Paolo II. Slogan indigenisti, immagini di donne che allattano animali, statuette di idoli poste davanti al Santissimo: ecco la liturgia pagana della "Chiesa dal volto amazzonico".

- LA CHIESA HA 5 NUOVI SANTI: ECCO CHI SONO, di N. Spuntoni

Ecclesia 14_10_2019

Spillette della Misereor, gilet della Repam, maglie colorate con slogan indigenisti, le borse in fibra naturale col logo del Sinodo. Sera di sabato 12 ottobre: nella chiesa di Santa Maria in Transpontina, a due passi dalla Basilica di San Pietro, si vede sfilare tutto il corredo preferito dall’anima più entusiasta della “Chiesa dal volto amazzonico”.

I più ferventi sostenitori del cammino che ha portato all’elaborazione del discusso Instrumentum Laboris si riuniscono nella parrocchia di via della Conciliazione per celebrare la cosiddetta “messa per la Terra senza mali”. Si tratta di un’esperienza liturgica ideata dal vescovo Pedro Casaldáliga, esponente della Teologia della Liberazione, e condannata sotto il pontificato di San Giovanni Paolo II. Quindi, il prodotto di un missionario spagnolo e non una cerimonia pienamente derivata dal patrimonio culturale autoctono dei nativi. Un appuntamento organizzato in concomitanza con il Columbus Day e che rientra nell’ambito delle iniziative di “Amazzonia: casa comune”, l’insieme di eventi paralleli al Sinodo che si tengono a Roma proprio in occasione della riunione dei vescovi.

Gli indigeni amazzonici veri e propri sono appena una decina, mentre la maggioranza dei presenti è formata da missionari e volontari occidentali. Non mancano anche volti noti come padre Giacomo Costa, segretario della Commissione per l’Informazione, e il neo cardinale Michael Czerny con tanto di croce pettorale fatta col legno di una barca di migranti.

La cerimonia ha inizio subito dopo la fine della Messa pomeridiana celebrata dal parroco. Così, nella chiesa borghiciana, da un lato si possono osservare i parrocchiani raccolti in preghiera, dall’altro i volontari di “Amazzonia: casa comune” intenti a preparare statuette e coppe in noce di cocco. I primi osservano incuriositi e un po’ perplessi gli stendardi e le sculture che i secondi espongono in una cappella laterale. Qui dentro, oltre agli striscioni e sotto l’immagine di Nostra Signora di Guadalupe - vero esempio di inculturazione della fede in America Latina - fanno la loro comparsa statuette di animali: ci sono pappagalli, c’è – sull’altare – quello che presumibilmente può apparire un pesce e a terra, sul telo, un oggetto rosso e curvo difficile da decifrare con precisione ma che assomiglia a un serpente (forse un serpente corallo?).

I turisti che entrano per caso, convinti di visitare una delle tante chiese di Roma, sembrano sorpresi, a tratti divertiti, forse pensando di aver sbagliato posto. Intanto, al momento della consacrazione, il silenzio instauratosi nell’edificio viene disturbato dai canti che alcune persone, sedute sul sagrato in attesa della cerimonia successiva, intonano a gran voce. C’è anche uno striscione con la fotografia di una donna indigena a seno nudo che, mentre tiene in braccio un bambino, allatta un cucciolo di lupo. Dopo la benedizione finale del parroco, una suora in tonaca bianca vi si sofferma davanti un po’ dubbiosa prima di andarsene, mentre tutt’attorno i volontari, in gran fermento, dispongono il loro materiale nella navata principale per la “messa della Terra senza mali”. È lo spaccato di “due Chiese” difficili da conciliare? Dai frutti, il giudizio.

Nel frattempo, in chiesa il parroco lascia il palcoscenico agli ospiti d’oltreoceano (anche se molti di loro sono europei con lunghe esperienze nelle missioni in Amazzonia) che sistemano davanti all’altare centrale e al Tabernacolo un grande telo con su ritratto un habitat naturale. Su di esso vengono deposte le statuette della donna indigena incinta già viste nella cerimonia ai giardini vaticani, durante l’apertura del Sinodo in San Pietro e la scorsa settimana proprio qui in Santa Maria in Transpontina. In processione, poi, arriva anche una canoa con tanto di reti arcobaleno e scritte celebrative del Sinodo in corso. Attorno a questi oggetti si dispongono in semicerchio i presenti e parte un sermone in portoghese contro il sistema economico, lo sfruttamento ambientale e la persecuzione dei popoli indigeni, tutto accompagnato da cori e suoni prodotti dagli strumenti tradizionali. I volti dei partecipanti sono sorridenti e c’è grande convinzione in quanto viene professato.

Battaglie politiche che sconfinano nella realtà sacra della liturgia correndo il pericolo di stravolgerla in senso pedagogico, come denunciava l’ex consigliere della Congregazione per il culto divino e i sacramenti, il professor Michael Kunzler. Manifestazioni come questa, in cui non c’è alcuno spazio per Cristo e troppo per elementi che sembrano richiamare il paganesimo, possono contribuire davvero ad alimentare la vita spirituale dei fedeli dell’Amazzonia? È in questo modo che si realizza una valida inculturazione nel campo liturgico o, piuttosto, c’è il rischio di incorrere - come avvertiva Benedetto XVI nel 2011 parlando proprio dell’America Latina - in quelle “forme deviate di religiosità popolare che, lungi dal promuovere una partecipazione attiva alla Chiesa, creano piuttosto confusione”?

In questo caso, poi, non si tratta di religiosità popolare ma di tentativi creativi calati dall’alto per assimilare nelle celebrazioni liturgiche degli antichi miti degli indios brasiliani, come quello della ricerca della terra senza mali, sulla scia segnata dalla Teologia della Liberazione a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta. Celebrazioni per le quali, vale la pena di notare, non c’è nemmeno bisogno di sacerdoti ordinati e quindi, forse, particolarmente funzionali alla richiesta di creare nuovi ministeri.