LUCCA

Niente più preti e chiese chiuse, sogno di un parroco progressista

A Bagni di Lucca hanno chiuso le chiese per mancanza di preti e tutta la diocesi di Lucca è in difficoltà. Ma per un sacerdote progressista, si tratta di un cambiamento positivo. Perché "si può pregare assieme anche senza preti". Ed esorta a leggere i segni dei tempi. 

Ecclesia 17_02_2018
Uno dei cartelli ironici appesi fuori da una chiesa a Bagni di Lucca

C’è un posto, in Italia, dove hanno dovuto chiudere tutte le chiese per mancanza di preti. Si tratta di Bagni di Lucca, in provincia, ovviamente, di Lucca. Ma è l’intera diocesi a soffrire, anche perché i sacerdoti rimanenti cominciano ad essere anziani e certi devono coprire da soli più parrocchie. Non poche tra queste sono distanti tra loro, alcune sono in montagna, così che il prete deve fare la spola. Il che significa che deve avere un’auto sempre in efficienza e una buona salute.

Non è solo il caso della diocesi di Lucca, naturalmente. In questo momento sono a Lesa sul Lago Maggiore, e qui il mio parroco deve badare a ben sette località, con turnazioni di messe calibrate al millimetro. Ovviamente, non può permettersi una banale influenza. Tornando a Bagni di Lucca, si tratta di una ridente cittadina termale e in montagna, cui si arriva superando diversi tornanti. Lucca è sempre stata un’oasi «bianca» in una Toscana da sempre rocciosamente «rossa» (meglio: dal dopoguerra, perché prima era una delle zone classiche del fascismo). Perciò, vivere in un posto senza chiese e senza celebranti è sentito dalla cittadinanza con grande dispiacere. Un parroco della diocesi, don Franco Cerri (solo omonimo del famoso chitarrista jazz), ha scritto ai fedeli  della diocesi una lettera che è stata pubblicata da Il Tirreno, quotidiano toscano, l’8 febbraio scorso. Senza giri di parole ha fatto presente che «si può pregare insieme anche senza prete». E questo è vero, diciamo noi. Solo che – ricordiamo sommessamente - per certe cose ci vuole il prete, e non c’è niente da fare: battesimi, nozze, funerali, messa, benedizioni. Senza contare il fatto che, specialmente in un piccolo centro, il prete è un leader naturale, un punto di riferimento morale. «È in atto nella diocesi un progetto per una nuova configurazione delle parrocchie. Una revisione diventata necessaria, essendo cambiata non soltanto la realtà sociale del territorio, ma anche quella ecclesiale», dice don Cerri. Per forza: non ci sono preti. E non ci sono preti perché non ci sono vocazioni, tutto qui.

La Chiesa si interroga sul perché di questo fenomeno? Boh, non si sa nemmeno se l’abbia mai fatto. Don Cerri mette le mani avanti e ammette la presenza di mugugni: eh, «quando si tratta di cambiare qualcosa, c’è subito una forte resistenza. Questo anche nella Chiesa. C’è perfino chi non ha digerito ancora il Concilio Vaticano II». Ora, la resistenza al cambiamento avviene quando il cambiamento non è gradito, altrimenti non c’è resistenza ma plauso. Quelli, poi, che non hanno ancora digerito il Concilio forse avrebbero qualche risposta circa la crisi – epocale - delle vocazioni, crisi che invece non c’è, guarda un po’, in Africa, dove lo «spirito» del Concilio non ha attecchito. Ma don Cerri incalza: «E se fosse che non abbiamo il coraggio di leggere i segni del nostro tempo?». Ecco un perfetto slogan post-conciliare che, dopo mezzo secolo, ancora è buona toppa per ogni buco. Temiamo di averli letti, sì, i segni dei tempi: niente preti e niente chiese. Più «segno» di così… Don Cerri, tuttavia, insiste: «Non è soltanto una questione di numero di preti. Finora si è contato tutto sui preti, quasi fossero loro soltanto la Chiesa e poco, pochissimo sulla presenza attiva dei fedeli laici nella vita ecclesiale». Sarà.

Mi si permetta un ricordo personale. Francia, primi anni Settanta. Mi trovavo in una cittadina dell’Isère. Il prete aveva gettato l’abito, si era iscritto al Partito Comunista e faceva il lavamacchine. Ogni due settimane veniva un prete da Grenoble, consacrava un po’ di ostie e le lasciava lì. La domenica, un gruppetto di laici si riuniva in chiesa, diceva qualche preghiera e distribuiva le ostie a chi le voleva. Questa era la «presenza attiva dei fedeli laici nella vita ecclesiale». Uno squallore. Che non sarebbe stato diverso se la «cerimonia» fosse stata allietata da chitarre o ingentilita da cotillons. Come si vede, i «segni dei tempi», col loro sinistro scricchiolìo, erano avvertibili già all’indomani del Concilio. Ma li leggemmo, ahimè, solo noi rigidi & farisei