Saint Hugh of Grenoble by Ermes Dovico
la sentenza del gip

Il giudice: «Mostra di Carpi ambigua e provocatoria, non è certo il vilipendio»

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Il Gip di Modena archivia l'esposto dei fedeli contro il vescovo Castellucci e il pittore Andrea Saltini sulla mostra blasfema di Carpi. Il giudice riconosce l'ambiguità del quadro “Longino” e la volontà di provocare dell'artista, ma esclude la certezza del vilipendio. Per la diocesi di Carpi una vittoria di Pirro. 
- DOSSIER: LA MOSTRA BLASFEMA DI CARPI

Ecclesia 29_03_2025

Un quadro oggettivamente ambiguo e un artista, Andrea Saltini, volutamente provocatorio, ma quell’opera non può essere considerata vilipendio perché manca la certezza della volontà di voler offendere il sentimento religioso. Dopo due settimane di attesa il Gip di Modena ha messo la parola fine alla vicenda penale che vedeva indagati per il reato di vilipendio il vescovo di Modena e Carpi Erio Castellucci, l’artista Andrea Salini, la curatrice Cristina Muccioli e don Carlo Bellini per la vicenda della mostra Gratia Plena, che diede scandalo nel marzo/aprile del 2024 a Carpi.

Il giudice ha così disposto l’archiviazione per quell’esposto presentato da alcuni fedeli, ma i motivi per gioire per la diocesi non sono molti.

Scarpa, nel dispositivo, ha ammesso che il quadro Longino, nel quale si vedeva il centurione in pose non consone sul corpo di Gesù era oggettivamente ambiguo, segno che la cosiddetta malizia non stava solo negli occhi di chi guardava come la diocesi si era affrettata a dire cercando di giustificarsi (leggi QUI il testo dell’ordinanza).

Il giudice ha premesso che «compito dello scrivente non è né quello di valutare artisticamente l’opera contestata» né quello «di addentrarsi in una diatriba tra settori conservatori/tradizionalisti e settori riformatori/progressisti esistenti all’interno della Chiesa Cattolica», ma di valutare la sussistenza del reato di vilipendio, disciplinato all’articolo 403 del codice di procedura penale.

Ebbene, per escludere la volontà di vilipendere il sentimento religioso, il Gip ha considerato due elementi: il primo è quello «dello “stato di consacrazione della chiesa luogo della mostra e teatro dei delitti contestati”: ebbene, a parere dello scrivente non è possibile far prevalere il dato formale rispetto a quello sostanziale, che è quello che nella quotidianità̀ la Chiesa in questione era ed è luogo dedicato ad attività̀ “civili” – tra le quali rientra, appunto, quella di ospitare mostre – e non alle funzioni religiose».

Il secondo elemento, «decisivo ai fini della presente statuizione, è la oggettiva “ambiguità̀” (in senso penalistico, quindi da valutare in favore dell’autore dell’opera e degli organizzatori della mostra) del quadro, la cui interpretazione autentica – vale a dire, quella di chi lo ha realizzato – non è nel senso in cui è stata letta dagli opponenti, vale a dire quella del centurione impegnato in un rapporto orale a un Gesù̀ sdraiato e inerte, ma quella di porsi sopra un corpo sostanzialmente inanimato, senza un intendimento di tipo sessuale».

La chiesa di Sant’Ignazio di Carpi, però, è realmente e ancora consacrata, così come aveva osservato lo stesso cardinale segretario di Stato Parolin interessatosi alla vicenda. Come faccia il giudice, sulla base di un suo parere a sostenere il contrario, non è dato sapere. Così come è singolare che lo stesso giudice, riconoscendo la difficoltà di interpretazione dell’opera che dà luogo ad ambiguità, escluda il vilipendio per il semplice fatto che non era nelle intenzioni dell’artista. Sarebbe come dire che una bestemmia acquista il suo valore negativo non per una considerazione oggettiva, ma a seconda della volontà con la quale è pronunciata.

Ma ciò che è interessante, è constatare che per lo stesso giudice l’opera “Longino” è oggettivamente ambigua, segno che evidentemente anche lo stesso togato ha avuto difficoltà nell’escludere del tutto la natura blasfema del quadro.

A riprova di ciò, Scarpa riconosce inoltre che «si può̀ ampiamente convenire in ordine alla volontà̀ dell’autore, con le opere complessivamente mostrate nell’occasione, di “provocare” – anche verosimilmente a fini pubblicitari: scopo, in effetti, ampiamente raggiunto –». Una volontà, quella di provocare che la stessa Bussola aveva documentato fin dall’inizio della vicenda, visitando per prima la mostra di Carpi. Insomma, ambiguo e provocatorio e questo basterebbe a giustificare le polemiche che si sono scatenate.

Ciononostante, non è sufficiente per definire il reato di vilipendio: «Non può essere affermata allo stesso modo e come conseguenza inevitabile, per le ragioni appena esposte, anche la volontà̀ di “vilipendere”, non affermabile con certezza né nell’intenzione dell’artista né tantomeno in quella dell’organizzatrice della mostra Muccioli Cristina e ancor più in quella di don Carlo Bellini». In sostanza, il giudice sembra voler dire: «Non posso affermare con certezza la volontà di vilipendere il sentimento religioso, quindi devo archiviare».  

Per la diocesi però non si può certo cantare vittoria. Parla infatti di una «vittoria di Pirro» l’avvocato dei fedeli, Francesco Minutillo, che in un comunicato dice: «Siamo partiti da una Curia che, per difendere l’indifendibile, sosteneva che la malizia era “negli occhi di chi guarda”. Oggi un Giudice della Repubblica ha affermato — nero su bianco — che quel quadro era provocatorio, ed era stato realizzato per provocare, probabilmente a scopi pubblicitari. Una vittoria di Pirro dunque quella degli indagati, soprattutto per la Curia».

Così è stata «esclusa la configurabilità del reato di vilipendio alla religione cattolica, ma il giudice non ha mai affermato che le opere in mostra fossero innocue, edificanti, spirituali o rispettose della sensibilità dei fedeli. Al contrario: ha riconosciuto la loro ambiguità oggettiva. E proprio per questa ambiguità ha ritenuto che non vi fosse sufficiente prova del dolo — cioè di una volontà deliberata di vilipendere, che è condizione necessaria per l’integrazione del reato».

Secondo Minutillo «non si tratta dunque di una piena assoluzione morale: il giudice non ha negato il carattere offensivo delle opere, ma si è limitato a rilevare che non si può dimostrare con certezza che l’intento fosse quello di offendere. Un ragionamento penalistico, che nulla toglie alla gravità pastorale e culturale di quanto accaduto».

Il legale torna poi anche sulla questione della consacrazione della chiesa che ha ospitato la mostra fino alla sua chiusura anticipata a seguito delle polemiche, per rilevare che «la valutazione del giudice contraddice esplicitamente quanto affermato dal Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin. E ci chiediamo: se quella chiesa è di fatto un luogo civile, come potrà continuare ad usufruire delle esenzioni fiscali riservate ai luoghi di culto? Che ne pensa, ad esempio, l’Agenzia delle Entrate in merito al mancato pagamento dell’IMU?».

Con l’ordinanza del Gip di Modena termina la vicenda processuale della mostra di Carpi, ma secondo Minutillo, con questa sentenza c’è spazio per bussare ancora alle porte del Vaticano: «Come fedeli, riteniamo ora opportuno valutare la possibilità di raccogliere tutto il materiale documentale e presentare un'apposita segnalazione alle autorità vaticane competenti, affinché si pronuncino pastoralmente e disciplinarmente sulla condotta dell’Arcivescovo Castellucci e del sacerdote coinvolto. Il silenzio ecclesiale, di fronte a simili eventi, rischia di diventare complicità».

Resta così per la diocesi un giudizio morale negativo: una mostra che lo stesso giudice non si è sentito di difendere pienamente in merito alla sua ambiguità e che ha diviso i fedeli, creando scandalo nel popolo di Dio che si è ribellato. E resta la difesa di un artista da parte della Chiesa che è stato giudicato volutamente “provocatorio” dal giudice, in quello che invece doveva essere un percorso per immagini spirituale e religioso. Non un bel biglietto da visita edificante per la diocesi e per il vescovo Castellucci. 



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