Saint Joseph by Ermes Dovico
L’ASSEMBLEA SULL’AMAZZONIA

Il Papa apre il Sinodo con un velato attacco a Bolsonaro

Nell’omelia di ieri, in apertura del Sinodo sull’Amazzonia, Francesco ha parlato più volte di “fuoco di Dio”, contrapposto al fuoco per “interessi” che “ha devastato l’Amazzonia”. Una critica a chi difende “lo status quo” sembra aprire la strada a novità nella Chiesa. E non manca la reprimenda per le volte in cui “c’è stata colonizzazione anziché evangelizzazione!”.

Ecclesia 07_10_2019

Tre settimane. Tanto durerà il Sinodo aperto ieri da papa Francesco con la Santa Messa celebrata nella Basilica di San Pietro. I 184 padri sinodali, alla presenza di esperti, uditori, invitati speciali e rappresentanti indigeni, sono sfilati a San Pietro davanti al pontefice. Ai vescovi convocati a Roma per l’Assemblea Speciale sull’Amazzonia, Bergoglio ha detto nell’omelia che l’ordinazione episcopale è “un dono di Dio” che “non si compra, non si scambia, non si vende” ma “si riceve e si regala”: “Se ce ne appropriamo, se mettiamo noi al centro e non lasciamo al centro il dono, da Pastori diventiamo funzionari: facciamo del dono una funzione e sparisce la gratuità, e così finiamo per servire noi stessi e servirci della Chiesa”.

Un discorso incentrato sul verbo “ravvivare” per rilanciare l’immagine prediletta di una “Chiesa in cammino, sempre in uscita”. “Se tutto rimane com’è, se a scandire i nostri giorni è il si è sempre fatto così, il dono svanisce, soffocato dalle ceneri dei timori e dalla preoccupazione di difendere lo status quo”, ha sostenuto Bergoglio. Parole che sembrerebbero non escludere la possibilità che l’assise apertasi ieri spiani la strada all’introduzione di novità significative nella vita della Chiesa.

Al tempo stesso, Francesco, citando san Paolo, ha ricordato che “Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di prudenza”. E ha poi avvertito: “La prudenza non è indecisione, non è un atteggiamento difensivo; è la virtù del Pastore, che, per servire con saggezza, sa discernere, sensibile alla novità dello Spirito”.

L’immagine del “fuoco di Dio” è ritornata più volte nell’omelia d’apertura del Sinodo ed è stata utilizzata per contrapporla a quella del “fuoco che divampa e divora”. In questo passaggio, Bergoglio ha fatto riferimento al “fuoco appiccato da interessi che distruggono, come quello che recentemente ha devastato l’Amazzonia” che “non è quello del Vangelo”. Continuando la contrapposizione figurativa, il papa ha opposto il fuoco di Dio come fonte di unità a quello divoratore che invece “divampa quando si vogliono portare avanti solo le proprie idee, fare il proprio gruppo, bruciare le diversità per omologare tutti e tutto”.

Non è mancato una singolare critica, con un probabile riferimento alla storia dell’evangelizzazione delle Americhe: “Quante volte il dono di Dio non è stato offerto ma imposto, quante volte c’è stata colonizzazione anziché evangelizzazione!”, ha esclamato Bergoglio. Un’osservazione a cui è seguita un’invocazione a Dio affinché “ci preservi dall’avidità dei nuovi colonialismi”.

Dal Brasile, intanto, continua a filtrare il fastidio del governo in carica per l’indirizzo che sembrerebbe destinato ad assumere il Sinodo sull’Amazzonia: Bolsonaro e i suoi sostenitori, infatti, temono proprio che i riflettori internazionali puntati sulla regione e il messaggio di una minaccia costante dei diritti ambientali e umani in quell’area possano aprire la strada a una qualche forma di intervento straniero; paradossalmente, proprio uno di quei “nuovi colonialismi” di cui ha parlato il papa nella sua omelia.

In questi ultimi mesi il presidente brasiliano ha adottato la linea della prudenza, preferendo non andare allo scontro frontale con il Vaticano, ma la sua irritazione non è un mistero: non a caso, recentemente ha ricevuto a Palazzo il nunzio apostolico, monsignor Giovanni D’Aniello. I contenuti dell’incontro sono rimasti top secret ma non c’è da dubitare che si sia parlato soprattutto del Sinodo. D’altra parte, Bolsonaro ha affermato di vedere “molta influenza politica” nei lavori preparatori dell’Assemblea dei Vescovi, e all’Onu ha rigettato l’idea che le foreste amazzoniche siano i “polmoni del mondo”, un’espressione utilizzata anche dallo stesso pontefice nei suoi appelli contro gli incendi.

Tra Brasilia e Roma la distanza appare davvero incolmabile: anche nella settimana appena trascorsa, il cardinal Claudio Hummes, relatore generale del Sinodo e presidente della Repam, è tornato a insistere sull’importanza delle riserve indios che - a suo dire - sarebbero fondamentali per “la conservazione dell'Amazzonia”. D’idea totalmente opposta, però, è Bolsonaro che - mantenendo un impegno preso in campagna elettorale - ha scelto di togliere alla Fondazione nazionale per gli indigeni la gestione dei confini delle riserve, per assegnarla al Ministero dell’Agricoltura. Il leader del partito social-liberale è convinto che le riserve siano un ostacolo allo sviluppo dell’agrobusiness e ha denunciato l’esistenza di influenze straniere sulle comunità di nativi dirette a ostacolare l’azione del suo esecutivo.

Poco più di un mese fa, inoltre, il cardinal Hummes è andato all’attacco del ‘suo’ presidente con una lettera, firmata a nome dei vescovi brasiliani del Sinodo, in cui veniva espresso rammarico per essere criminalizzati come “nemici della patria”.

Con l’omelia di ieri, Francesco ha però fatto capire di ‘benedire’ l’opera del porporato brasiliano (suo sostenitore nell’ultimo Conclave) nonostante le critiche subite in patria, e lo ha lodato esplicitamente, definendolo significativamente “nostro amato cardinale Hummes”. Nel suo discorso d’apertura, poi, Bergoglio si è speso in favore dei “tanti fratelli e sorelle in Amazzonia” che “portano croci pesanti e attendono la consolazione liberante del Vangelo, la carezza d’amore della Chiesa”. Parole che sembrano riferirsi alle popolazioni indigene della regione e che avallano l’idea di una minaccia di morte costante dovuta alla difesa della loro terra dai fenomeni di deforestazione ed estrazione selvaggia.

Una narrazione, però, respinta dall’amministrazione verdeoro, che ha sempre rivendicato di agire non contro gli indios, ma contro le Ong lì operanti che - secondo questa versione - sarebbero strumenti ideologici e politici su territori sottoposti a sovranità brasiliana.