LA VISITA IN ITAIA

Cosa c’è dietro il velo dell'affascinante emira del Qatar

Dopo l’arrivo della delegazione della Qatar Charity per inaugurare alcuni centri islamici nel Nord Italia, è la volta dell’avvenente Sheikha Mozah, madre dell’emiro del Qatar. L’emira ha incontrato il premier Renzi e papa Francesco. Che hanno sorvolato sugli imbarazzanti suoi legami con la Fratellanza musulmana.

Politics 06_06_2016
Sheikha Mozah, madre dell'emiro del Qatar

Dopo l’arrivo della delegazione della Qatar Charity per inaugurare alcuni centri islamici nel Nord Italia, è la volta dell’avvenente Sheikha Mozah bint Nasser al-Missned, seconda delle tre mogli di Hamad bin Khalifa al-Thani, emiro del Qatar fino al 2013, e madre dell’attuale emiro, Tamim bin Hamad al-Thani, che venerdì ha incontrato il presidente del Consiglio Matteo Renzi, mentre sabato ha incontrato papa Francesco e ha presenziato alla firma di un accordo fra la Biblioteca Apostolica Vaticana e la Qatar Foundation for Education, Science and Community Development per conto della Qatar National Library. L’accordo è stato siglato, per la Qatar Foundation dal Hamad al-Kuwari e per la Biblioteca Apostolica dal prefetto, monsignor Cesare Pasini.

Ebbene, Sheikha Mozah, che ricopre svariate cariche nel proprio Paese e a livello internazionale, è diventata nel corso degli anni la “donna di potere” dell’emirato. Le sue attività si focalizzano principalmente sull’educazione, in modo particolare nel suo ruolo di fondatore e presidente della Qatar Foundation for Education, Science and Community Development, che si propone di promuovere progetti educativi in Qatar e all’estero, dai Paesi musulmani ai Paesi occidentali, dalla promozione di scuole e istituti in Paesi colpiti dalla guerra (Siria, Gaza, ecc…) a partnerships con istituti e università occidentali, come nel caso dell’accordo con il Vaticano. 

Tuttavia, un esame più attento dell’operato della Qatar Foundation di Sheikha Mozah e del Qatar in generale, rivela uno spiccato interesse nella promozione dell’islam politico, vicino alla Fratellanza musulmana. Alcuni esempi per chiarire quanto appena affermato. Nel mese di Ramadan 2015, la Qatar Foundation ha organizzato un ciclo di conferenze presso la moschea della Cittadella dell’Educazione a Doha, creata su espressa volontà della Qatar Foundation. Tra i predicatori che hanno tenuto conferenze spiccano Omar Abdelkafy e ‘Aidh al-Qarni.  Omar Abdelkafy, invitato più volte anche da Islamic Relief Italia, è noto per le sue posizioni controverse circa l’11 settembre e gli attacchi a Charlie Hebdo che ha definito «una messa in scena» e per avere sostenuto che un musulmano dovrebbe rifiutare di stringere la mano a un non musulmano. D’altronde anche Sheikha Mozah, seppur con toni diversi, si domandò «perché i leader mondiali si sono radunati per marciare a difesa di Charlie Hebdo, mentre i fatti di Chapel Hill sono stati liquidati come la conseguenza di una disputa per un parcheggio?».

In un celebre video Abdelkafy afferma: «Ricordo uno delle scene che l’Inviato – su di lui la pace e la benedizione di Allah – ha visto durante il viaggio notturno, riportata dalle raccolte di hadith autentici: “Donne sospese per i capelli”. Egli chiese: “Chi sono costoro, Gabriele?” Rispose: “Sono delle donne della umma che hanno fatto vedere i loro capelli agli estranei’. E questo concetto di “estraneo” comprende tutti coloro con i quali il matrimonio è lecito. Questo significa che la donna che mostra i capelli al mondo intero, avrà commesso un peccato che merita il castigo della tomba. […] Colei che ha mostrato con orgoglio i propri capelli, poiché nel hadith si usa un’espressione generale […] e capelli fanno parte del suo atteggiamento... Il problema è che esistono musulmane che sono credenti, praticanti e dolci», ma vengono talvolta obbligate a togliersi il velo per motivi di lavoro. Abdelkafy su questo non nutre dubbi: “Che la licenzino! É meglio essere allontanati da una mansione terrestre che essere allontanati dalla religione di Allah. Eviterà il castigo che l’attende”».

Quanto appena citato sarebbe sufficiente a descrivere le posizioni molto controverse del predicatore egiziano. Tuttavia una semplice ricerca in rete sulle sue posizioni circa gli ebrei, non su Israele, conferma altresì il suo antisemitismo. In uno dei numerosi video da lui dedicati agli ebrei, intitolato “Caratteristiche degli ebrei codardi”, ha affermato che «Allah non li ha colpiti con la voce, né con la spada, né con la lancia, né con le pietre, ma con gli angeli», che «occupano la terra sacra e noi dobbiamo combatterli sulla via di Allah».  In un altro elenca tutti i versetti coranici che attaccano gli ebrei che hanno tradito il profeta e che Allah ha maledetto, in un altro video ancora ribadisce che gli ebrei vogliono conquistare il mondo e sono nemici dell’islam.

Quanto al saudita ‘Aidh Al-Qarni – anch’egli invitato da Islamic Relief Italia e molto stimato dalla Fratellanza italiana - nel 2004 dalle antenne di IqraTv, dopo la morte del leader di Hamas ‘Abd al-‘Aziz al-Rantissi, proclamò: «È stato ucciso dai fratelli delle scimmie e dei maiali, dagli uccisori dei Profeti. Egli ha compiuto il suo dovere, mentre noi musulmani non siamo serviti a nulla, non abbiamo arrecato alcun danno agli ebrei, la gente oggi protesta verbalmente in televisione oppure organizza manifestazioni. A che cosa serve tutto questo? Prego Allah che faccia cadere i nemici nelle loro stesse trappole, che distrugga gli ebrei e chi li aiuta tra i cristiani e i comunisti e che li trasformi nel bottino di guerra (ghanima) dei musulmani. Ben venga il jihad, il sacrificio e la resistenza contro gli occupanti in Iraq […] le gole devono essere tagliate, i crani infranti e questa è la via verso la vittoria».

Un anno dopo al-Qarni,  sempre da IqraTv, affermava: «Il Profeta Maometto, come viene narrato in un hadith, inviò ‘Ali dagli ebrei, i fratelli delle scimmie e dei maiali, per combatterli. Il coraggioso e valoroso ‘Ali pensò che lo avesse inviato a decapitarli. Il Profeta invece gli disse che era meglio guidarli sulla retta via piuttosto che ucciderli e che lo scopo della missione era quello di condurre gli ebrei all’islam per convertirli e aumentare il numero dei musulmani. Condurli in paradiso è meglio che assassinarli. In nome di Allah, se conducete un ebreo o un cristiano sulla retta via è meglio che assassinarne uno o duemila sul campo di battaglia».

Nel 2012, purtroppo, ritorna il tema del jihad, questa volta contro Bashar Assad, e Qarni riconferma la teoria della lecita resistenza armata, perché Assad «ha ucciso centinaia di bambini e distrutto moschee invece di svolgere il proprio dovere di difendere il Golan», al confine con Israele e quindi «dovere dei siriani invocare il jihad e imbracciare le armi contro di lui. Oggi, uccidere Bashar è un dovere superiore a quello di uccidere gli israeliani».  

È evidente che il predicatore saudita invitato da Sheikha Mozah a Doha  non sia né un modello di moderazione né un fautore del dialogo e della diplomazia, non solo con gli ebrei e Israele, ma anche con chiunque si opponga ai doveri – secondo lui – imposti da Allah. Nel marzo 2015, il sermone durante la cerimonia inaugurale della moschea alla Cittadella della Salute, cerimonia alla quale la sheikha era presente, fu tenuto dal predicatore saudita Saleh al-Moghamsi. Alla morte di Osama bin Laden, Moghamsi ha affermato che costui era morto con più onore agli occhi di Allah rispetto a ebrei, cristiani, zoroastriani, atei o musulmani apostati semplicemente perché è morto da musulmano. 

Il 1 maggio 2015 la moschea della Cittadella ospitò il predicatore saudita Salman al-Awdah che ha affermato che «gli ebrei usano sangue umano per il pane azzimo di Pesach nella convinzione che li avvicini al loro falso dio». Il 29 maggio 2015, a una settimana dall’attacco Isis a una moschea sciita nel nord est dell’Arabia Saudita, è stata segnalata la presenza del saudita Abd al-‘Aziz Fawzan. Fawzan è noto per le posizioni anti-sciite, tanto che poche settimane prima del sermone a Doha, ha dichiarato: «La storia dei rafidha è colma di criminalità e tradimenti, guerre e distruzione, uccisioni e assassini, di cospirazioni con i nemici della umma, al punto da ricorrere all’avvelenamento e alla stregoneria con i loro oppositori, che Allah li possa combattere!». Da notare qui l’uso del termine rafidha a indicare gli sciiti, termine dispregiativo che significa “coloro che hanno rifiutato” e che è lo stesso termine usato dall’Isis. 

Sheikha Mozah è anche all’origine della fondazione nel 2008 del Qaradawi Center for Islamic Moderation and Renewal presieduto da Yusuf Qaradawi, grande mentore della Fratellanza musulmana e predicatore seguito anche al di fuori del movimento fondato da Hasan al-Banna grazie alla tele-predicazione sugli schermi della qatariota Al Jazeera. Grande sostenitore degli attentati suicidi in Iraq all’epoca della presenza americana e in Israele, firmatario nel 2013 di un appello al jihad in Siria, Qaradawi è il fiore all’occhiello della predicazione promossa dall’emirato che è sede non solo di Al Jazeera, ma anche dell’International Union of Muslim Scholars cui afferiscono i predicatori summenzionati.

Nel 2012 Qaradawi è stato ospite d’onore all’inaugurazione del Center for Islamic Legislation and Ethics, istituzione fortemente voluta da sheikha Mozah e presieduta da Tariq Ramadan, in questi giorni anch’egli in Italia, membro dell’International Union of Muslim Scholars di Qaradawi e testata di ponte del progetto educativo del Qatar in Europa. Non a caso, Ramadan stesso ha dichiarato che la sua cattedra all’università di Oxford è stata sponsorizzata dall’emirato. 

Ebbene, ritengo sia doveroso domandarsi se tutti i movimenti finanziari, educativi, immobiliari promossi dal Qatar nel nostro Paese porteranno con sé anche l’ulteriore sdoganamento, già in atto, di organizzazioni e predicatori promossi dall’emirato e dall’affascinante Sheikha. Se è vero che in un momento di profonda crisi economica del nostro Paese, le collaborazioni scientifiche, le partnership, gli investimenti attraggono e non possono che essere benvenuti, sia dallo Stato sia dalla Santa Sede, è al contempo auspicabile che la contropartita a livello di sicurezza, di radicalizzazione e di privazione della libertà di espressione non sia troppo alta.