L'ANALISI

Corea del Nord, il nuovo leader gioca alla guerra

Si alza di nuovo la tensione nella penisola coreana: il regime comunista del Nord abroga l'armistizio e taglia la "linea rossa" con il Sud. Tattica per ottenere più aiuti economici o reale intenzione di arrivare alla guerra? E' il primo test per il nuovo dittatore Kim Jong Un.

World 11_03_2013
Kim Jong Un

Prima le minacce di utilizzare armi nucleari per un “attacco preventivo contro l’aggressore americano”, poi la decisione di abrogare il trattato di non aggressione con la Corea del Sud e infine il taglio della “linea rossa” , il collegamento telefonico tra Pyongyang e Seul attivato per gestire le crisi. Un passo quest’ultimo motivato con l’inizio delle esercitazioni navali congiunte tra le marine di Washington e Seul ma che in realtà rappresenta solo il culmine (per ora) di un’escalation avviata con i recenti test missilistico e nucleare effettuati con successo dal regime di Kim Jong Un.

Sul piano formale la Corra del Nord sta attuando tutti i passi che precedono l’inizio di un conflitto avvicinandosi pericolosamente alla soglia bellica e a quella fase di tensione nella quale un semplice errore o l’errata interpretazione della manovra di un velivolo o di una nave da guerra possono determinare l’inizio delle ostilità. La provocazione da parte del regime comunista è palesemente pretestuosa: basti pensare che l’esercitazione navale americana e sudcoreana “Key Resolve” è iniziata solo virtualmente con simulazioni computerizzate e fa comunque parte di un programma addestrativo della durata di sei settimane denominato ”Foal Eagle” che si ripete tutti gli anni coinvolgendo le forze statunitensi in Corea (37 mila militari con carri armati, artiglieria e decine di cacciabombardieri F-16). Ridicolo che il regime di Kim Jong-Un le abbia definite come ''una vera e propria invasione'' preannunciando addirittura una “guerra atomica imminente”. Rodong Sirmun, il quotidiano ufficiale del Comitato centrale del Partito del Lavoro ha scritto che ''gruppi militari di prima linea, unità antiaeree e strategiche di missili e armi nucleari sono nello stadio finale della preparazione a una guerra a tutto campo, in attesa dell'ordine d'attacco''.

Una risposta molto minacciosa all’inasprimento delle sanzioni a Pyongyang decise dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in seguito al test atomico effettuato il 12 febbraio scorso. Difficile però dire se si tratti delle solite provocazioni nordcoreane (la linea rossa era stata “tagliata” anche nelle crisi del 2008 e del 2010) tese a incassare aiuti internazionali per sostenere la disastrata economia e a mostrare i muscoli sul fronte interno e ai “cugini”del sud o se Pyongyang cerchi davvero il confronto militare. Le esperienze recenti sembrano propendere per la prima ipotesi ma non si possono escludere sorprese dal giovane spregiudicato dittatore Kim Jong Un, alla sua prima “prova del fuoco” e galvanizzato dai successi militari conseguiti con il lancio di un missile balistico a lungo raggio e un test atomico. A rafforzare l’ipotesi dell’azzardo bellico dei nordisti ci sono poi due precedenti risalenti al 2010 che hanno visto le violente provocazioni di Pyongyang restare impunite.

In marzo un sottomarino affondò con un siluro la corvetta sudcoreana Cheonan che si inabissò con 47 marinai e in novembre lanciarazzi katyusha bombardarono l'isola di Yeonpyeong uccidendo 4 persone. Nonostante le proteste né Seul né Washington attuarono reali rappresaglie e (i sudisti spararono qualche colpo di cannone dall’isola attaccata) per questa ragione tra le diverse carte militari che Pyongyang può giocare nell’attuale crisi la più probabile è un attacco di questo tipo contro navi, o isole appartenenti al Sud o lungo il confine del 38° Parallelo. Improbabile che Kim Jong Un ordini il lancio di missili a lungo raggio Taepodong-2 contro il territorio degli USA o le basi statunitensi nel Pacifico (Guam, Okinawa e altre basi in Giappone sono le più esposte) perché gli americani tengono sotto stretta osservazione le basi missilistiche nordcoreane e la Flotta del Pacifico dispone di missili in grado di intercettare i vettori balistici.

Non è certo che il regime comunista disponga già di testate nucleari ma il solo lancio di un missile balistico diretto verso obiettivi statunitensi o i Paesi alleati provocherebbe ritorsioni militari devastanti che riporterebbero la Corea del Nord all’età della pietra (in realtà a una condizione di arretratezza poco inferiore a quella in cui vive oggi). O almeno così dovrebbe essere considerato che Barack Obama non ha mai brillato per decisionismo militare e i suoi tentennamenti rischiano di mettere in discussione la volontà statunitense di esercitare una reale deterrenza strategica.

In caso di ostilità, a bassa o alta intensità, sono i sud coreani a rischiare di pagare il prezzo più alto. Seul è situata a poche decine di chilometri dal confine ed è sotto il tiro non solo di centinaia di missili balitici Hwasong (derivati dagli Scud) ma anche di migliaia di razzi campali e di proiettili d’artiglieria calibro 152 millimetri utilizzati da cannoni nascosti in caverne lungo il confine per evitare che possano venire colpiti da raids aerei. Si tratta di ferrivecchi residuati della Guerra Fredda in confronto ai moderni armamenti del Sud, ma sono tutte armi in grado di impiegare armi chimiche che, utilizzate contro la popolazione civile in una metropoli, potrebbero provocare decine di migliaia di morti.