Critiche al Papa? No, è un'analisi necessaria
Ascolta la versione audio dell'articolo
C'è chi in questi giorni è rimasto sorpreso o amareggiato per alcuni articoli critici sul pontificato di Francesco. Ma il nostro non è un giudizio sulla persona, è invece una doverosa analisi di 12 anni di pontificato che hanno portato a una profonda divisione del popolo di Dio e a una grande confusione. Analisi doverosa anche in vista del conclave che dovrà scegliere il successore.

In questi giorni qualcuno è rimasto sorpreso o si è sentito amareggiato perché dopo la morte di papa Francesco abbiamo pubblicato alcuni articoli critici sul suo pontificato. C’è chi ci ha invitato a guardare anche a cosa di buono ha fatto e chi semplicemente ha detto che è meglio concentrarsi sul prossimo Conclave promuovendo preghiere e digiuni perché ne esca un Papa all’altezza della situazione.
Mi sembra dunque necessario fare un po’ di chiarezza. Prima questione: quanto stiamo pubblicando in questi giorni non è un giudizio sulla persona di papa Francesco, non abbiamo alcuna presunzione di metterci al posto di Dio. Anzi, partecipiamo giustamente e convintamente alle preghiere e messe di suffragio per la sua anima. Ma è doveroso invece dare un giudizio sulla situazione della Chiesa dopo - e a causa di - questi 12 anni di pontificato. Non si tratta di stare con il bilancino a pesare le cose buone e quelle cattive fatte da papa Francesco, ma quello di offrire un’analisi sintetica di quelli che sono stati i passaggi significativi di questo pontificato e le ragioni che hanno portato la Chiesa a questa profonda divisione (una inedita «divisione nel popolo di Dio», l’ha definita l’esperto vaticanista Gian Franco Svidercoschi) e a una confusione a tutti i livelli di cui si vedono le conseguenze pratiche anche dopo la morte del Papa (come dimostra il caso Becciu di cui parliamo a parte).
Da qualsiasi parte lo si voglia guardare si è trattato di un pontificato di rottura, che ha voluto una discontinuità non solo con i suoi diretti predecessori ma con tutta la tradizione cattolica. Certo che molti valutano questo positivamente e, anzi, ci sono tanti scontenti perché non ha portato questa discontinuità alle estreme conseguenze. Noi invece crediamo con Benedetto XVI (e tutta la tradizione) che la Chiesa si riformi nella continuità, che non ci sia bisogno di una nuova Chiesa o la Chiesa di questo o quel Papa: la Chiesa è di Cristo e basta; i Papi sono a servizio della Rivelazione, non ne sono i padroni.
E comunque la si pensi è giusto andare alle ragioni vere, confrontarsi con la realtà. Affermare, tanto per fare un esempio, che questo pontificato ha ignorato il diritto naturale e che ciò ha impedito di pensare la Dottrina Sociale della Chiesa (come ieri l’articolo di Stefano Fontana spiegava) non è una critica impietosa nei confronti di un Papa appena deceduto, ma un esame sereno che permette di comprendere quanto accaduto in questo tempo.
E questo giudizio è tanto più importante quanto più si avvicina il conclave che dovrà scegliere il prossimo Pontefice. Cogliere le ragioni profonde che hanno portato il pontificato appena finito a certe conseguenze (o derive) serve anche a fissare i criteri che riteniamo necessari per disegnare l’identikit del prossimo Papa. Per questo iniziamo oggi una serie di articoli, a firma di Luisella Scrosati, che ispirati dal documento di Demos II (l’anonimo cardinale che giusto un anno fa affidò alla Bussola alcune note sulle priorità del prossimo pontificato) approfondiscono i criteri fondamentali con cui riteniamo che i cardinali dovrebbero scegliere il successore di papa Francesco.
Chi obietta a questo sostenendo di lasciar fare allo Spirito Santo ha evidentemente una concezione magica della Chiesa e del conclave: come se a un certo punto, con un colpo di bacchetta magica lo Spirito Santo si impossessasse delle menti dei cardinali per far loro scrivere sui biglietti il nome da Lui voluto. Benedetto XVI, nel 1997 aveva chiarito bene la questione rispondendo alla domanda se sia lo Spirito Santo a scegliere il Papa: «Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo – disse l’allora cardinale Ratzinger -. Direi che lo Spirito Santo non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di Papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto».
La presenza dello Spirito Santo quindi passa anche attraverso la consapevolezza della situazione della Chiesa, di quali sono le sue priorità nel contesto attuale, di quale sia la posta in gioco. Pregare, e anche digiunare, perché lo Spirito Santo illumini i cardinali in conclave è doveroso ma crediamo che sia parimenti importante il lavoro che stiamo facendo in questo periodo per offrire dei criteri di valutazione, che sono a servizio della Chiesa e del popolo di Dio.
Non pretendiamo che il nostro approccio piaccia a tutti, ma la nostra prima preoccupazione è piacere a Dio. Il giudizio dei lettori è importante ma anche effimero, l’unico Giudizio da temere veramente è quello finale.